Nel silenzio, la forza di una presenza
Pomeriggio di volontaria in Hospice.
Sosto un attimo prima di entrare nella stanza di degenza; respiro con calma, cerco di preparare la mente e il cuore, poi finalmente entro.
E’ solo.
Mi avvicino lentamente al letto e lo vedo, anzi vedo per primi gli occhi, forse persi nel Ricordo di cose lontane, forse immobili a valutare un presente fatto di attesa e di paura, chissà.
Lo saluto con un sorriso, volta lentamente il viso verso di me.
Improvvisamente un sorriso gli illumina gli occhi, diventati finalmente presenti e vigili, attenti alla mia presenza. Mi sembra di cogliere un: “Bene arrivata”, ma è solo (forse) l’impressione di un attimo.
Di nuovo lo sguardo riacquista la fissità di prima: qualcosa di più forte lo ha catturato e lo tiene prigioniero. Mi siedo accanto a lui; ormai ho imparato a non avere timore dei lunghi silenzi con cui mi accoglie.
Confesso, la prima volta ho provato sgomento di fronte a quel suo ostinato silenzio, non l’ho compreso.
Nei miei momenti di volontaria accanto ai malati terminali i silenzi sono forse i momenti più difficili da gestire. Mi sembra a volte di scorgervi un dolore disperato, un abbandono sfiduciato, un lasciarsi consegnare ad un isolamento totale, una rinuncia a qualsiasi tipo di rapporto; vorresti andare oltre, fargli sentire che abbracci il suo silenzio, vorresti raggiungerlo in questo territorio pieno di ombre per consegnargli una parola di speranza, recitare con lui una preghiera nella quale abbandonarsi insieme, nel riconoscimento del mistero della vita e della morte, ma anche nella fede che trascende, nella certezza che la morte non spezza la vita.
Le parole però a volte possono sembrare estranee alla realtà che la persona ammalata avverte dentro di sé, possono acuire il senso di isolamento.
Ma se ci si pone in un atteggiamento di accettazione, qualcosa di quel silenzio diviene poco alla volta famigliare; dentro spesso non c’è la perentoria richiesta di allontanamento, ma al contrario un invito all’ascolto, alla condivisione. Anche oggi mi sono messa in ascolto.
Sembra impossibile, eppure nell’assenza di parole i sensi si acuiscono, la mente dopo un po’ si acquieta e il cuore si apre ad una comprensione che va al di là di tutto.
Mi scopro essere umano accanto ad un altro essere umano, con le stesse incertezze, le stesse paure.
Mi scopro vulnerabile e spaventata di fronte alla morte, di fronte ad un OLTRE che mi sovrasta, esattamente come lui, persona che attende di fronte alla soglia.
Ma il silenzio questa volta mi aiuta, è così denso da reclamare dignità e rispetto, mi indica un percorso anziché farmi allontanare.
Avverto allora che il mio silenzio ha sufficiente forza per abbracciare il suo, lo sostiene, lo conforta, lo tiene per mano, lo accompagna nel suo cammino di comprensione, di bilancio profondo di sé: le mie parole suonerebbero vuote, banali, destabilizzanti.
Il mio accompagnare diventa semplicemente un essere presente con tutta me stessa; lascio la possibilità all’altro di riconoscere in me semplicemente una presenza che comprende, che accetta, che autorizza, che non si lascia spaventare dal silenzio ma lo ritiene una risorsa.
A poco a poco, dentro a quel silenzio cala una pace profonda.
La fede mi conforta, mi ricorda che in ogni momento si dipana il tempo di Dio, si svela la Sua presenza, la certezza della Sua fedeltà; mi aiuta ad accettare che l’Amore è l’unica via possibile, anche e soprattutto nel silenzio, nell’attesa tranquilla in assenza di parole.
Lui volge di nuovo il viso verso di me, di nuovo sorride con gli occhi, senza parlare; accolgo questo momento come un saluto pacificato, come un segno di riconoscimento per aver rispettato il suo silenzio e per avermi sentita vicina spezzando il suo isolamento anche con il mio solo stargli accanto.
Uscendo dalla stanza, mentalmente recito il Padre Nostro; quel nostro ha adesso un significato più pieno.
Mi vengono anche alla mente le parole di Padre Arnaldo Pangrazzi: ”La morte non è la luce che si estingue. E’ la lampada che si spegne perché è sopraggiunta l’alba”.